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Ricordi del primo giorno di scuola

Mentre noi genitori di homeschoolers ci apprestiamo a festeggiare il non rientro a scuola dei nostri figli* , molti altri genitori sono alle prese con i preparativi per l’inizio della scuola. Per alcuni inizia domani, altri hanno ancora una settimana di vacanza, fatto sta che già da un mese le vetrine dei negozi si sono riempite di grembiuli, zainetti e diari. Mi verrebbe da dire a quelli che insistentemente affermano che l’homeschooling sia un’educazione per élite che noi – per esempio – non dobbiamo sborsare un euro per il corredo settembrino, né per la marea di libri, né per l’abbigliamento back to school , mentre loro forzatamente cadono in questa trappola che “fa girare l’economia”.

Sorvoliamo su ciò che è evidente e arriviamo al dunque: quel fatidico primo giorno di scuola che avanza. Una lettrice adulta ha condiviso con noi il racconto del suo inizio e noi lo proponiamo a voi. Se avete il desiderio di raccontarci il vostro primo giorno in classe , adulti e giovani sono i benvenuti, scrivetemi e io pubblicherò il testo qui sul blog. Buona lettura.

Del mio primo giorno di scuola rimane la foto ricordo alle sette e mezza di mattina davanti al cancello di casa insieme a mio fratello. “Guarda qui, volevi scappare anche dalla fotografia” , mi dice mia mamma mentre me la mostra dalla telecamera del computer.
La ricordo bene quella giornata, una sorta di “domenica del villaggio” visto che l’estate era trascorsa, come il sabato della poesia di Leopardi, fra subdoli preparativi e mirabolanti tentativi di convincimento materni smontati puntualmente da mia nonna che, dopo avermi insegnato l’alfabeto sulle insegne dei negozi, gongolava nel guardarmi scrivere riprendendomi a suon di nocchini, ad ogni accento dimenticato o doppia orfana di compagna, prima che potesse farlo una qualsiasi maestra di passaggio.

“La nonna dice che la scuola non serve a nulla”, cantavo vittoria tutta impettita fiera dei nostri quaderni da autodidatte, “E invece a scuola ci sono altri bambini, si imparano tante cose!”, cercava di rimediare mia madre all’ormai irreparabile danno fatto da mia nonna: insegnarmi a ragionare. Dai, picchia e mena, la diatriba si concluse così come si doveva concludere: a favore di mia mamma. A dire il vero, siccome nessun argomento tirato in ballo da mia madre avrebbe potuto tenere testa neanche lontanamente alla pratica sul campo di mia nonna, riuscì ad estorcermi un pò d’entusiasmo da primo giorno di scuola, seppur posticcio, con la becera promessa di un gelato con la panna, anche sotto, e un cono di scorta, invece di costringermi come ogni volta ad inscenare la rottura di quello che avevo già in mano per farmene dare un altro.

Non mi veniva molto naturale restarmene lì seduta composta dietro al banco di fòrmica scortecciata , le schegge della seggiolina sgangherata, che se non fossi stata attenta, avrebbero smagliato la mia calzamaglia preferita, m’introdussero ad un patema mai conosciuto prima. Perlomeno avevo un motivo per non odiare del tutto quel grembiule nero uguale a quello degli altri bambini che, invece, sembravano non volerselo più togliere di dosso. Risposi educata a tutte le domande della maestra, ascoltai attenta le risposte dei compagni, durante la ricreazione mangiai tutto il panino che mi aveva dato la mamma e quando fu l’ora di uscire la individuai subito in mezzo a tutte le altre perché era la più alta e, soprattutto, la più bella.

Rimase la più bella solo finché, una volta afferrato il tanto agognato cono, mi comunicò con fare coercitivamente amorevole: “Ovvìa, allora domani ci andrai più contenta a scuola”, “Come domani?”, domandai preoccupata nonostante la panna che m’imbalsamava la lingua. Già, perché io non avevo mica capito che la scuola non si esauriva nel concetto di “primo giorno” però, se tanto ci dovevo andare, ci sarei andata preparata. Fu così che dopo aver contestato mezzo alfabeto perché la A non è solo quella di “Albero” ma anche quella di “Alimentari” e via dicendo, lasciai perdere la merenda per dedicarmi all’arte più antica del mondo: la fuga . Ancora rimbombava per il corridoio il suono della campanella della ricreazione quando mi chiusi nel bagno e, sfoderato il tagliaunghie, trafugato dal cassetto del comodino di mio padre sfidando per la prima volta gli intarsi del letto che a me sembravano il diavolo in persona invece del classico giglio fiorentino frutto degli atti intenti, tutt’altro che malevoli del falegname, cominciai a raschiare fra una piastrella e l’altra come una forsennata. Non passò molto tempo che la mia impresa venne intercettata e bruscamente interrotta dalla bidella che mi riportò in classe per un braccio sputtanando là per là le mie intenzioni alla maestra. Non ci fu neanche un attimo per negoziare un compromesso, anzi, all’uscita la maestra mi sputtanò a sua volta con mia mamma.

A casa, per punizione, mi mise in vasca con l’acqua fredda lasciandomi lì in ammollo finché non mi fossi decisa a lavarmi, pratica che tutto sommato, pensandoci, mi dava più noia della scuola e, proprio per questo, mi venne un’idea che reputai più che geniale: improvvisai l’unghiata di un coccodrillo premendo il rasoio da barba di mio padre sul petto . Col sangue che mi colava fin sulle gambe corsi da mia mamma sbraitando come un’indemoniata, miracolata d’essere sfuggita per un pelo all’attacco di un coccodrillo che si era nascosto fra la vasca e il bidet. Mia mamma mi finì più di quanto avrebbe potuto fare il fantomatico rettile.

Dal terzo giorno di scuola cominciai a mimetizzarmi col banco , stavo zitta e seduta anche durante la ricreazione, destando però più sospetti di quante preoccupazioni avessi generato fino a quel momento. Dovetti aspettare la domenica perché con mia nonna potessi escogitare una tattica per tenere buone le maestre e mia mamma per i successivi cinque anni che mi a-spettavano, mi disse: “Non ci posso far nulla, però ti prometto che la mia scuola, senza banchi né grembiuli, sarà uno spasso ogni domenica “, e fu mia complice servendomi di nascosto un segretissimo caffè senza nemmeno l’ombra nel latte.

da “Il libro che non ho ancora scritto”, L.B.

*Festa NON rientro a scuola: 13-14 settembre a Rimini Camping Maximun; 21 settembre Oasi Lipi Pavia

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