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La colpa è dei padri

Ci siamo svegliati di soprassalto col rumore del citofono nelle orecchie. Era la vicina che cortesemente ci avvisava che qualche vandalo aveva divelto e gettato chissà dove la porta che chiudeva la nostra centralina dell’acqua. Una porticina piccola, di ferro, che silenziosamente custodiva le tubature sul lato del muro che dà sulla strada. Scomparsa, buttata in qualche fosso da qualche giovane infelice. Mi sono ritrovata a tappare il buco con lo scotch e un sacchetto dell’immondizia, mentre la pioggia cadeva forte, questa mattina.

C’era il sole, invece, tre settimane fa, quando al risveglio (sempre improvviso con il citofonare della medesima solerte vicina) abbiamo trovato la nostra auto con il lunotto posteriore frantumato da un sasso. Un dispetto, una ragazzata, hanno detto in molti scuotendo la testa. Il sasso era a due passi dall’auto, sicuramente non era stato un tentativo di furto, piuttosto una bravata notturna.

No, non abitiamo nel Bronx , almeno non credo. No, non siamo sfigati, o almeno se lo siamo, siamo in buona compagnia. Certo, perché basta fare due chiacchiere con un amico che vive poco più in là, col prestinaio o con il postino per rendersi conto che tutti sono al corrente di questi maledetti episodi. Vittime o testimoni indiretti dell’accaduto.

Uova contro le vetrine dei negozi, una tartaruga uccisa a sassate e lasciata a terra con il carapace squarciato, il parco giochi deturpato, le auto rigate e le gomme bucate. A proposito, le gomme bucate sono sempre sulla nostra lista, ma risalgono all’inverno, quindi preferisco non parlarne.

Lo dico di nuovo: non abitiamo in un luogo malfamato. Potremmo essere vicini, magari voi abitate due incroci più in là. Non so cosa provare, se rabbia o sconforto. Sicuramente sconforto per questi ragazzi che girano per strada senza meta e compiono tali scempi per divertirsi, per occupare il tempo…

Oppure lo fanno per vendetta . Lo fanno per vendicarsi contro il sistema che li imprigiona , che li ha da sempre soffocati. Essi lo fanno per ricevere quelle attenzioni che gli adulti non gli hanno mai concesso, nemmeno da bambini. Noi li abbiamo resi infelici, o meglio mai-felici, perché la vera felicità essi non l’hanno mai provata.

Vista la giornata uggiosa, mi rifugio in un testo di Pasolini , un testo del 1975. I giovani infelici , scritto nell’ultimo anno della sua tumultuosa vita, è un testo profetico e al contempo agghiacciante visto ciò che viviamo oggi, a ormai più di trent’anni dalla sua stesura. Vi riporto qualche paragrafo:

“L’integrazione non è un problema morale, la rivolta si e codificata. Nei casi peggiori, sono dei veri e propri criminali. Quanti sono questi criminali? In realtà, potrebbero esserlo quasi tutti. Non c’è gruppo di ragazzi, incontrato per strada, che non potrebbe essere un gruppo di criminali. Essi non hanno nessuna luce negli occhi: i lineamenti sono lineamenti contraffatti di automi, senza che niente di personale li caratterizzi da dentro. La stereotipia li rende infidi. Il loro silenzio può precedere una trepida domanda di aiuto (che aiuto?) o può precedere una coltellata. Essi non hanno più la padronanza dei loro atti, si direbbe dei loro muscoli. Non sanno bene qual è la distanza tra causa ed effetto. Sono regrediti — sotto l’aspetto esteriore di una maggiore educazione scolastica e di una migliorata condizione di vita — a una rozzezza primitiva. Se da una parte parlano meglio, ossia hanno assimilato il degradante italiano medio — dall’altra sono quasi afasici: parlano vecchi dialetti incomprensibili, o addirittura tacciono, lanciando ogni tanto urli gutturali e interiezioni tutte di carattere osceno. Non sanno sorridere o ridere. Sanno solo ghignare o sghignazzare.”

 

Io li sento sghignazzare dal balcone, fino a tarda notte d’estate. Li sento imprecare, rompere, ribellarsi, guaire. Li guardo e penso ai miei figli, è ovvio. Penso al mio piccolo uomo di otto anni che dopo aver visto l’auto fracassata e il papà teso ha iniziato a fare le ronde per strada, davanti a casa, in bicicletta: “Per proteggere le nostre cose”.

Molti si lamentano che in città non ci siano luoghi destinati ai giovani, si lamentano che non esiste una sala ricreazione, non esiste un campo di basket, per esempio. Di campi di calcio ne abbiamo tre, ma sono tutti chiusi a chiave. L’oratorio e la chiesa fanno orecchie da mercante , quando si parla di accogliere i ragazzi. Del resto anch’essi sono chiusi la maggior parte del tempo, abbiamo un prete che copre tre parrocchie o più. “Ah, se sapessero dove andare non sarebbero in strada!” dicono in molti.

Ma le persone fanno sempre un passo troppo in là. Vogliono sempre qualcosa che non c’è, senza rendersi conto che le risposte sono vicine, molto vicine a loro. E’ vero che qualcosa manca ai ragazzi, ma non è un luogo di aggregazione. A loro mancano gli affetti e le relazioni di una famiglia. Quale luogo sarebbe più adatto a questi ragazzi, anzi bambini, se non una casa? La loro casa, intendo. Quella casa che essi hanno ovviamente vissuto troppo poco. Troppo poco per amarla, per conoscerla, per rispettarla.  Non distruggi ciò che ami. La casa è quartiere, borgo, vicinato, ma il punto di partenza è il nido. Senza basi non si costruisce nulla.

Pasolini usa un’immagine bellissima: quella del coro del teatro tragico greco che enuncia l’ineluttabile predestinazione dei figli a pagare le colpe dei padri. I colpevoli siamo noi, quindi è inutile girarsi dall’altra parte . La colpa dei padri , dice l’autore, è stata credere che la storia borghese sia l’unica possibile, che la povertà sia un male assoluto. L’infelicità nasce dalla mancanza di cultura, di rispetto, di cura e d’amore. La cultura omologante dell’assolutismo consumista ha creato questa massa di mostri , si mostri, così li definisce Pasolini.

 “Il loro aspetto fisico è quasi terrorizzante, e quando non terrorizzante, è fastidiosamente infelice. Orribili pelami, capigliature caricaturali, carnagioni pallide, occhi spenti. Sono maschere di qualche iniziazione barbarica, squallidamente barbarica. Oppure sono maschere di una integrazione diligente e incosciente, che non fa pietà.”

Gli occhi spenti sono quelli che mi colpiscono di più. Guardando i loro volti non vedo poesia, slancio emotivo, calda energia, sentimento. Sono per la maggior parte del tempo freddi, forse spaventati, certamente insicuri. Sono stati deprivati dell’amore, saccheggiati del tempo. Le famiglie devono smettere di delegare, ai videogames, alla scuola, alla televisione, ai babysitter, la cura dei propri figli. La colpa è dei padri.

Leggo in giro che per i genitori moderni la delega è una forma di sopravvivenza al troppo stress che il divenire genitori significa oggi. Se siete stressati allora non fate i genitori, dico io. La vostra vita frenetica ha un prezzo e lasciare i propri figli in balia di loro stessi non porta all’indipendenza. Come fate a stabilire maggiore empatia, a sviluppare le emozioni positive, a coltivare l’affettuosità se state separati otto o dieci ore al giorno? Senza dimenticare quelli che sono vicini fisicamente, ma hanno la mente altrove e il naso schiacciato sul pc o sul telefonino.

In Gennariello , scritto nello stesso periodo di I giovani infelici , Pasolini si riferisca esplicitamente alla scuola definendola come:

«quell’insieme organizzativo e culturale che ti ha completamente diseducato, e ti pone qui davanti a me come un povero idiota, umiliato, anzi degradato, incapace a capire, chiuso in una morsa di meschinità mentale che, fra l’altro, ti angoscia».

L’educazione parentale può non essere adatta a tutti, ma allora vi prego, fermate i ritmi frenetici, accogliete, abbracciate, baciate, ascoltate, sostenete i vostri figli, altrimenti tra altri trent’anni noi saremo sempre qui, ma in quali condizioni? Non voglio saperlo.

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