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O mangi questa minestra o ti butti dalla finestra

Questo proverbio conosciuto da tutti suggerisce di accontentarsi di quello che si ha, altrimenti si rischia di finire male . Giusto? Quante persone credono fermamente in quello che dice questo proverbio? Molti. In Italia moltissimi.

In altre parole accontentatevi : accontentatevi del vostro lavoro, della vostra situazione sentimentale, della vostra casa, del vostro conto in banca, accontentatevi di fare il minimo per sopravvivere decentemente. Del resto lo dice anche un proverbio e i proverbi sono massime che contengono norme, giudizi o consigli che sono stati desunti dall’esperienza comune. Si dice che i proverbi sono frutto della saggezza popolare o della cosiddetta “filosofia popolare”. Giusto? Dipende dal proverbio… io direi che sono la versione codificata di luoghi comuni. Luoghi comuni da sfatare.

A cosa porta tutto questo accontentarsi ? Porta ad accettare situazioni apparentemente convenienti, ma sbagliate, porta alla pigrizia mentale (come quando si va avanti senza riflettere sulle conseguenze a lungo termine), porta a rimanere nella massa perché se la massa si accontenta “perché non dovrei anch’io ?”.
Pensate al classico gesto di fare spallucce. Secondo Alexander Lowen, l’inventore della bioenergetica, i movimenti delle spalle rispecchiano le funzioni dell’Io. Curvare le spalle è una palese dichiarazione di mesta sconfitta , o di rassegnata sopportazione, perché manifestano un peso, tanto che ad una persona triste si esorta a stare “su”.

Questo messaggio viene trasmesso ai nostri figli in molti modi.

Parlando delle otto ore a scuola che ritengo troppo lunghe e spesso inutili con altri genitori spesso mi sento rispondere: “ E’ vero che la giornata scolastica è troppo lunga, ma la vita è così quindi devono abituarsi da subito. Un domani saranno costretti a sopportare un lavoro d’ufficio otto ore seduti quindi è meglio che imparino ora ”.

Una mamma mi ha telefonato sconvolta dopo la prima settimana di inserimento alla scuola materna di suo figlio. Mi ha raccontato che le hanno strappato il piccino dalle braccia e che lo hanno tenuto in classe urlante (con altri 10 che urlavano disperati a loro volta). Non una parola di accoglienza, non era stato organizzato alcun momento collettivo di benvenuto. Del resto si chiama inserimento , no? Inseriamo un elemento in un gruppo, peccato che si tratta di bambini di 3 anni. Alcuni usano la parola ambientamento , suona dolce, ma il gesto è il medesimo. Lei e altre mamme erano in preda ad una crisi da separazione. Ci credo bene! Ovviamente il piccolo non voleva più tornare e ha risposto all’avvenimento con incapacità di dormire, ritorno al pannolino, ansia e aggressività. Dopo una decina di giorni ho rivisto questa mamma e le ho chiesto se avesse smesso di portarlo. Sottolineo quanto fosse consapevole del fatto che il figlio stava soffrendo. Con un viso triste mi ha risposto che ha dovuto continuare con l’inserimento straziante. Mi ha detto che ha dovuto accontentarsi di quella scuola e del servizio perché era quella più vicina, perché il marito l’ha obbligata e lei non sapeva cosa fare. Ha fatto spallucce e ha detto “Speriamo che si abitui in fretta…” .

Spesso sento genitori di ragazzi delle medie e delle superiori che si lamentano del sistema scolastico davanti ai loro figli. Criticano questo o quel professore, criticano l’andamento della classe, il preside. Fanno qualcosa di concreto per migliorare la situazione? No. E i ragazzi cosa pensano? Che bisogna accontentarsi, trovare un modo per andare avanti comunque. I genitori sono le loro guide: se essi non fanno nulla allora non c’è nulla da fare.

Con questo non voglio dire che agire per cambiare sia facile, ma se non ci pensiamo resterà impossibile.

E’ anche per la difficoltà di interagire con il sistema che faccio homeschooling.

Quali sono le vostre esperienze? Mangiate la minestra mentre desiderate un arrosto con patate?

 

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