Quando la libertà fa paura: cosa ci insegna il caso Palmoli

A cura di Erika Di Martino

Negli ultimi giorni, una vicenda silenziosa e apparentemente marginale ha riacceso il dibattito sulla libertà educativa e sull’homeschooling in Italia. Una famiglia straniera, residente nei boschi abruzzesi vicino a Palmoli, vive in modo semplice e autosufficiente, immersa nella natura, con tre figli che ricevono un’educazione familiare invece che scolastica. Nessun reato, nessuna violenza, nessuna trascuratezza. Eppure, la Procura dei Minori ha aperto un’indagine. Perché? Perché quella famiglia non rientra nei parametri della “normalità” che la società ha costruito intorno a sé. E questo, oggi, basta per destare sospetto. Ma cosa significa davvero “normalità”? E chi stabilisce cosa sia giusto o sbagliato per una famiglia che sceglie di vivere in modo diverso?


Ogni volta che qualcuno sceglie un percorso fuori dagli schemi — più lento, più sobrio, più autentico — la reazione collettiva è quasi sempre la stessa: diffidenza, giudizio, inquietudine. I giornali parlano di “bambini senza scuola”, “famiglie isolate”, “case senza elettricità”, ma raramente raccontano la sostanza. Perché la verità è semplice e scomoda: non è la precarietà a spaventare, è la libertà.


La libertà di non delegare, di educare senza intermediazioni, di vivere secondo principi diversi da quelli del consumo e della produttività. È questa libertà che disturba, perché sfugge al controllo. E allora lo Stato, invece di accompagnare, indaga. Invece di ascoltare, diffida. Non si chiede “come posso comprendere?”, ma “come posso fermarli?”. È il riflesso di una cultura che ha smesso di fidarsi dei cittadini e che fatica a concepire che il bene dei figli possa nascere anche al di fuori delle istituzioni.


Fare istruzione parentale non significa abbandonare i propri figli, ma esserci in modo profondo, quotidiano, costante. Significa trasformare la vita in un percorso educativo continuo, dove ogni gesto diventa apprendimento e ogni relazione occasione di crescita. Educare in casa non è un rifiuto del sapere, ma un modo diverso di coltivarlo. Tuttavia, basta un singolo caso anomalo, un articolo impreciso o una scelta fuori dal comune per gettare ombra su migliaia di famiglie che praticano homeschooling in modo serio, trasparente e responsabile. Come se la libertà educativa fosse accettabile solo quando non disturba. Ma se una libertà non può disturbare, è davvero libertà?


La Costituzione italiana, all’articolo 30, è inequivocabile: “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli”. Lo Stato ha il compito di garantire questo diritto, non di sostituirsi ai genitori. Eppure, sempre più spesso, accade il contrario: famiglie costrette a giustificare ogni scelta, genitori convocati e valutati, stili di vita giudicati più che compresi. La scuola, da strumento, è diventata metro di misura. E quando l’uniformità viene scambiata per sicurezza, ogni forma di diversità educativa diventa sospetta. Ma la diversità non è pericolosa: è vitale. È ciò che tiene viva una società.

Proprio per questo oggi, più che mai, serve consapevolezza. Serve conoscenza reale. Troppe famiglie, italiane e straniere, si avvicinano all’educazione parentale spinte da un desiderio sincero di libertà, ma senza conoscere fino in fondo i propri diritti e doveri.


E questo può trasformarsi in fragilità. La libertà educativa è un diritto costituzionale, ma richiede preparazione, attenzione e capacità di muoversi con lucidità dentro un sistema che — inutile negarlo — non è ancora pronto a comprenderla pienamente. Ci sono famiglie che affrontano questo percorso con grande rigore, come quella di Palmoli, che segue le procedure, comunica con le istituzioni e dimostra attenzione in ogni aspetto, ma non tutti lo fanno. E in un contesto in cui il pregiudizio è sempre dietro l’angolo, serve prudenza comunicativa e intelligenza strategica. Non si tratta di nascondersi, ma di scegliere con cura i contesti, le parole, i toni. Parlare di homeschooling o di autosufficienza con leggerezza, in un ambiente che non conosce o non comprende, può generare fraintendimenti pericolosi. Raccontare la propria libertà educativa richiede competenza, sensibilità e capacità di tradurre ciò che per noi è naturale in un linguaggio che gli altri possano capire.


Questo non è conformismo: è lucidità. È la consapevolezza che la libertà, per essere rispettata, deve anche essere compresa. Ed è per questo che diventa fondamentale costruire reti di sostegno, dialogo e tutela, come quelle promosse da EDUpar e Fondazione Libera Schola, che accompagnano le famiglie nella conoscenza delle norme, nella gestione del rapporto con i Comuni e le scuole, e nella narrazione della propria scelta. Perché in Italia non basta sapere di essere nel giusto: bisogna anche saperlo dimostrare, con documenti, parole e comportamenti coerenti.


I veri pericoli, del resto, non vivono nei boschi. Sono nelle città, nelle scuole sovraffollate, nei ragazzi soli davanti agli schermi, negli adulti distratti che non ascoltano. Lì si nasconde la vera trascuratezza. Non in chi sceglie la lentezza, la relazione, la coerenza. Il problema non è chi vive in modo alternativo, ma un sistema che ha smesso di fidarsi dei genitori, che preferisce controllare invece di comprendere, che teme ciò che non sa classificare.


Se la libertà educativa è reale, deve poter esistere anche fuori dal consenso. La famiglia non è un’appendice dello Stato, ma il suo fondamento. Le famiglie homeschooler non chiedono privilegi: chiedono rispetto. Non vogliono sottrarsi, vogliono partecipare. Vogliono che la diversità non sia più percepita come minaccia, ma riconosciuta come ricchezza. Perché educare in libertà — anche con errori, tentativi e imperfezioni — significa costruire un futuro più umano, più consapevole e più vero.

E allora, forse, il vero passo avanti sarà quando smetteremo di chiederci come fermare chi è diverso e inizieremo a chiederci cosa possiamo imparare da chi ha avuto il coraggio di esserlo.


E tu? Hai mai sentito il peso di doverti giustificare per una scelta che nasce dall’amore e non dalla ribellione? Ti sei mai chiesto dove finisce la libertà e dove comincia il controllo? Forse la risposta non sta nei tribunali né nei giornali, ma nella fiducia reciproca, nella capacità di vedere oltre gli schemi e nel coraggio di educare con il cuore.


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